martedì 11 maggio 2021

ITALIANO 3^ - Antologia: il cinema

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL CINEMA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL CINEMA

 

La cinematografia (universalmente nota nell'abbreviazione di cinema) è una forma d'arte moderna, nonché uno dei più grandi fenomeni culturali, nata alla fine del XIX secolo, nota anche come la settima arte.

La rapida successione di immagini che contengono una ripresa frazionata della medesima azione è alla base di quella illusione ottica che noi conosciamo con il nome convenzionale di cinema.

 

Movimento come illusione

Diffusa è la convinzione che il fenomeno della persistenza delle immagini sulla retina consenta allo spettatore di avere l'illusione del movimento. Questa affermazione è sbagliata. Il fenomeno descritto consente all'occhio di percepire come un fascio di luce continuo ciò che, al contrario, è una rapida sequenza di lampi (nel cinema professionale 48 al secondo, pari a 24 fotogrammi al secondo: ogni fotogramma viene illuminato due volte); l'illusione del movimento è invece opera del cervello il quale, secondo meccanismi non ancora del tutto chiariti, "assembla" la raffica di immagini che gli vengono trasmesse in modo unitario creando da sé medesimo l'illusione che tali immagini siano in movimento.

Secondo alcuni studi la percezione del movimento si ha già con sole sei immagini al secondo, anche se, ovviamente, la fluidità dell'azione risulta molto scarsa. I primi film muti venivano girati a circa sedici fotogrammi al secondo; lo standard dei 24 fotogrammi fu codificato solo con l'avvento del cinema sonoro onde ottenere una velocità lineare della pellicola sufficiente per una dignitosa resa sonora della traccia.

 

Storia della cinematografia

I primi rudimentali esempi di cinematografia erano semplici sviluppi della lanterna magica e di strumenti ottici simili, che potevano essere usati per proiettare immagini ferme ma in successione veloce, per fare in modo che l'occhio umano percepisse il movimento tramite la loro successione rapida. Naturalmente, le immagini usate per simili strumenti dovevano essere scelte e preparate con cura per raggiungere l'effetto desiderato. Usando immagini simili tra loro, ma con lievi differenze, si poteva trasmettere alla percezione del pubblico l'effetto del movimento. Il principio è ancora oggi quello applicato nel campo dell'animazione.

Con lo sviluppo della fotografia, e in particolare della pellicola cinematografica (film) di celluloide, divenne possibile registrare le immagini "in continuum". L'uso della pellicola, inoltre, era decisamente più comodo per un sistema di proiezione delle immagini ad un pubblico, quando all'epoca si usavano strumenti che potevano essere utilizzati da una persona per volta, che doveva guardare all'interno dell'oggetto.

Il 28 dicembre 1895 i fratelli Lumière proiettarono al Grand Café des Capucines di Parigi dieci film di circa un minuto l'uno, tra i quali un primo piano di uno dei fratelli e sua moglie che davano da mangiare a loro figlio e L'arroseur arrosé (L'innaffiatore innaffiato).

L'intento dei fratelli Lumière era quello di dare allo spettatore la sensazione del vero, e ci riuscirono pienamente. Infatti in uno dei loro primi “corti” ripresero un treno che rientrava in stazione e chiunque lo vedeva aveva paura che il treno lo travolgesse.

Il cinema fu inizialmente pura arte visiva. Comunque, quando un film veniva proiettato in un cinematografo, per lo più teatri adattati alle esigenze, i proprietari dei locali ingaggiavano dei musicisti per accompagnare la proiezione con la musica. I musicisti, solitamente pianisti, cercavano di adattare i pezzi suonati con quanto veniva mostrato sullo schermo.

Più tardi, lo sviluppo tecnologico permise di creare una colonna sonora sincronizzata con le immagini sullo schermo, e che poteva essere registrata a parte dalle riprese del film. I film sonori vennero inizialmente conosciuti come "film parlanti".

L'ultimo decisivo gradino che ha portato il cinema alla concezione moderna fu l'introduzione del colore, che venne adottato più gradualmente rispetto al sonoro. Con lo sviluppo della tecnologia, sempre più film si avvalsero del colore, ed è oggi ormai una pratica quasi universale, diversamente dalla fotografia, dove il bianco e nero è sopravvissuto per vari motivi. Ma ancora oggi in non pochi casi, il bianco e nero come forma d'arte viene raccolto: basti pensare a numerosi registi dell'era del colore come il Wim Wenders de "Il cielo sopra Berlino", Michelangelo Antonioni o Federico Fellini. Quando il cinema torna agli antichi splendori, il bianco nero torna a sottolineare che la lanterna magica è ancora in grado di incantare la realtà.

 

La produzione cinematografica

Se la proiezione di un film è una cosa tutto sommato semplice ed economica, la sua creazione invece è una vera e propria impresa che in generale richiede la coordinazione di una troupe di centinaia di persone, l'impiego di macchinari e attrezzature molto costose, la pianificazione di molte attività diverse, a volte contemporanee, e l'investimento di grosse somme di denaro: girare (creare) un film in modo professionale, anche in economia, costa comunque cifre dell'ordine del milione di euro. A fronte di questi costi e di queste difficoltà un film riuscito, che ha successo, può rendere cifre straordinarie. D'altra parte, se il film non piace, la perdita è molto grave. Bisogna dire che con l'avvento del digitale però l'abbattimento dei costi di realizzazione dei film è notevole, ed è possibile girare film con piccole troupe, a volte anche composte da sei o sette persone.

In generale, le fasi della produzione sono: lo sviluppo del progetto, la pre-produzione, la lavorazione e la post-produzione.

 

Gli aspetti più importanti

 

Regia

La regia cinematografica è quella fase di lavorazione attraverso la quale si passa dalla sceneggiatura al film vero e proprio, ossia "dalla carta allo schermo". Questa fase include particolarmente le scelte artistiche della narrazione, l'organizzazione e la durata delle inquadrature. All'inizio di questa fase viene realizzato lo storyboard che permette di visualizzare con una serie di disegni l'idea della regia del futuro film.

 

Soggetto e sceneggiatura

La produzione di un film parte generalmente da un'idea. Lo sviluppo di questa idea porta alla stesura del soggetto, una prima bozza di quello che potrebbe diventare il copione di un film. Il soggetto, contenente solo lo svolgimento della vicenda in linea di massima, è presentato a uno o più produttori. Se ci sono i presupposti per uno sviluppo del progetto, il soggetto viene tramutato in sceneggiatura. Questo secondo processo è decisamente più lungo e delicato del precedente, e richiede delle buone conoscenze tecniche: una buona sceneggiatura, infatti, getta le basi per una buona riuscita del prodotto finale. Lo svolgimento dell'azione narrato nel soggetto viene elaborato e raffinato, creando il copione finale del film.

 

Fotografia

La fotografia cinematografica ha un ruolo fondamentale nella produzione di un film, essendo la responsabile principale dell'aspetto estetico finale del prodotto. Il direttore della fotografia è uno dei collaboratori più stretti ed importanti del regista. Insieme decidono la composizione ed il taglio dell'inquadratura, a che distanza inquadrare un soggetto, con quale angolo di ripresa, ecc. In base alla scena che si vuole riprendere, si deciderà, ad esempio, se effettuare una carrellata, una panoramica, un primo piano, un campo lungo, ecc. La vicinanza o meno della macchina da presa può influire, infatti, sulla carica emotiva della scena. Ad esempio, inquadrando il volto di un attore o una scena di guerra ecc. In questo contesto, possiamo affermare che la fotografia è l'arte di "raccontare per immagini", ed è parte integrante di quello che è definito come "il linguaggio cinematografico.

 

Montaggio

Il montaggio è solitamente considerato l'anima del cinema e parte essenziale della messa in scena operata dal regista.

Il montatore segue le indicazioni del regista, che supervisiona il lavoro, e procede a visionare il girato tagliando le inquadrature utili ed unendole tra loro. Tutte le scene, girate secondo le esigenze della produzione, sono poi montate nell'ordine previsto dalla sceneggiatura, o in altro ordine che emerge secondo le necessità della narrazione. Non sono rari casi di film completamente rivoluzionati in fase di montaggio, rispetto a come erano stati concepiti e poi “girati”.

 

Colonna sonora

Con il termine colonna sonora ci si riferisce solitamente alle (musica/musiche) di un film, ma il termine comprende l'audio completo (con dialoghi e effetti sonori).

La colonna sonora di un film accompagna e sottolinea lo svolgimento della pellicola, e le musiche possono essere "originali" e non.

 

Effetti speciali

Gli effetti speciali sono una delle caratteristiche peculiari del cinema fin dai tempi del regista francese Georges Méliès, inventore dei primi rudimentali effetti visivi, ottenuti tramite un sapiente montaggio e lunghe sperimentazioni.

Gli effetti speciali sono realizzabili sia durante le riprese sia in post-produzione, e sono classificabili in "visivi" e "sonori", ed anche in "effetti fisici" ed "effetti digitali".

 

Tecnologie e figure professionali

La storia del cinema è costellata di piccole e grandi invenzioni tecniche. Il progresso tecnologico non si è mai arrestato, ed ha visto anche alcune svolte epocali, come il passaggio dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, e dall'analogico al digitale (quest'ultimo è tuttora in corso). Come conseguenza dello sviluppo tecnologico, è aumentato il grado di specializzazione delle maestranze impegnate sul set, e sono state create nuove figure professionali. Le grandi produzioni sono popolate da un vero e proprio esercito di assistenti, costruttori, attrezzisti, direttori di reparti, disegnatori, progettisti, truccatori, controfigure, ecc. Le attrezzature utilizzate sono sempre più complesse, e permettono evoluzioni della macchina da presa controllate al millimetro. Anche la proiezione si è evoluta, specialmente con l'introduzione dei grandi formati panoramici. Per non parlare del mondo degli effetti speciali, del montaggio, dei DVD, ecc.

 

giovedì 29 aprile 2021

ITALIANO 3^ - Letteratura. Giuseppe Tomasi di Lampedusa

 

GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA (Palermo 1896 - Roma 1957)

 

Di famiglia nobile, compose saggi e racconti che non diede però alle stampe. Enorme successo in Italia e all'estero ebbe un suo romanzo, Il gattopardo, pubblicato postumo (1958), che, ambientato in Sicilia all'epoca dello sbarco dei Mille e del trapasso di regime, si caratterizza per l'equilibrio tra l'invenzione e l'evocazione, tra il reale e il favoloso.

 

VITA E OPERE

Duca di Palma e Montechiaro, principe di Lampedusa, partecipò alla guerra del 1915-18 come ufficiale e rimase nell'esercito fino al 1925; si ritirò quindi a vita privata (anche perché avverso al fascismo), viaggiando e dimorando per lunghi periodi all'estero. Buon conoscitore di varie lingue e letterature moderne, oltre alle classiche, lasciò inedito, tra le altre opere, anche il Il gattopardo, concepito nel corso di un lungo periodo di tempo e scritto poco prima di morire, che, per il vasto successo riscosso costituì un singolare caso letterario (nel 1963 Luchino Visconti ne trasse il celebre film omonimo). La narrazione s'impernia sulla figura del principe Fabrizio Salina, un aristocratico illuminato, in cui Tomasi ha in parte evocato la figura del bisavolo paterno, ma soprattutto ha ritratto sé stesso, nella sua più segreta intimità. Di qui il denso contrappunto critico, psicologico e morale che sigla l'unità lirica del racconto, scandito in episodi staccati, in bilico tra la narrazione propriamente detta e il saggio. Nel 1961 è stato pubblicato un volume di Racconti, composto di tre racconti veri e propri (Il mattino di un mezzadroLa gioia e la leggeLighea) e di un lungo scritto autobiografico, I luoghi della mia prima infanzia. Postume sono anche apparse le raccolte di saggi Lezioni su Stendhal (1977), Invito alle lettere francesi del Cinquecento (1979) e Letteratura inglese: dalle origini al Settecento (1990).

 

Il Gattopardo

 

Il racconto inizia con la recita del rosario in una delle sontuose sale del palazzo Salina, dove il principe Fabrizio, il gattopardo, abita con la moglie Stella e i loro sette figli: è un signore distinto e affascinante, raffinato cultore di studi astronomici ma anche di pensieri più terreni e a carattere sensuale, nonché attento osservatore della progressiva e inesorabile decadenza del proprio ceto; infatti, con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi e del suo esercito, va prendendo rapidamente piede un nuovo ceto, quello borghese, che il principe, dall'alto del proprio rango, guarda con malcelato disprezzo, in quanto prodotto deteriore dei nuovi tempi. L'intraprendente e amatissimo nipote Tancredi Falconeri non esita a cavalcare la nuova epoca in cerca del potere economico, combattendo tra le file dei garibaldini (e poi in quelle dell'esercito regolare del Re di Sardegna), cercando insieme di rassicurare il titubante zio sul fatto che il corso degli eventi si volgerà alla fine a vantaggio della loro classe; è poi legato da un sentimento, in realtà più intravisto che espresso compiutamente, per la bella e raffinata cugina Concetta, profondamente innamorata di lui.

Il principe trascorre con tutta la famiglia le vacanze nella residenza estiva di Donnafugata; il nuovo sindaco del paese è don Calogero Sedara, un parvenu, ma molto intelligente e ambizioso, che cerca subito di entrare nelle simpatie degli aristocratici Salina, mercé il fascino della figlia Angelica, cui il passionale Tancredi non tarderà a soccombere; quella Angelica che, pur non potendo uguagliare la grazia altera di Concetta, ha dalla propria parte la non comune bellezza, per non parlare dell'ingente fortuna economica (sia pur in gran parte derivante dai possedimenti perduti dai Salina e dai Falconeri), sì che Tancredi finirà per sposare lei.

Arriva il momento di votare l'annessione della Sicilia al Regno di Sardegna: a quanti, dubbiosi sul da farsi, gli chiedono un parere sul voto, il principe, suo malgrado, risponde in maniera affermativa; e, alla fine, il plebiscito per il sì, pur non esente da trucchi, sarà unanime. In seguito, giunge a palazzo Salina un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, incaricato di offrire al principe la carica di senatore del Regno, che egli rifiuta garbatamente dichiarandosi un esponente del vecchio regime, ad esso legato da vincoli di decenza. Il principe condurrà da ora in poi vita appartata fino al giorno in cui verrà serenamente a mancare, circondato dalle cure dei familiari, in una stanza d'albergo a Palermo dopo il viaggio di ritorno da Napoli, dove si era recato per cure mediche. L'ultimo capitolo del romanzo, ambientato nel 1910, racconta la vita di Carolina, Concetta e Caterina, le figlie superstiti di don Fabrizio.

 

ITALIANO 3^ - Letteratura. Dino Buzzati

 

DINO BUZZATI

 

Dino Buzzati nasce a San Pellegrino, nei pressi di Belluno, il 16 ottobre 1906. Figlio di Giulio Cesare Buzzati, giurista e docente universitario, e di Alba Mantovani, sorella di Dino Mantovani, scrittore molto conosciuto e apprezzato alla fine dell'Ottocento, Dino Buzzati appartiene insomma ad un ambiente borghese e benestante. La famiglia risiede stabilmente a Milano, dove il padre insegnava all'Università Bocconi, oltre che a quella di Pavia, ma trascorre tutte le vacanze estive nella villa di San Pellegrino: i due mondi (la città milanese e la montagna bellunese) ritorneranno frequentemente nella sua narrativa. Infatti, è nella villa di San Pellegrino che Buzzati scopre e sviluppa il proprio universo interiore e la sua capacità immaginifica, alimentata dal rapporto con la natura, e dai tomi della fornitissima biblioteca di famiglia. Inoltre durante le lunghe estati montanare, lo scrittore crea un legame inscindibile con le montagne, che lo accompagnerà tutta la vita. Il piccolo Buzzati è un ragazzino dotato di una sensibilità spiccatissima, che esprime nell'amore per la musica e per le arti figurative. Dopo aver frequentato il liceo milanese Parini, viene indirizzato dalla volontà familiare verso la facoltà di Giurisprudenza, che conclude nel 1928 con una tesi sulla natura giuridica del Concordato. La sua vera vocazione è però di carattere letterario e così, sempre nel 1928, ancora studente universitario, inizia a lavorare da praticante al "Corriere della Sera", prima come cronista, poi come redattore e inviato, e con cui collaborerà per il resto della vita, alternando la scrittura giornalistica a quella romanzesca.

 Nel 1933 vede la stampa il suo primo romanzoBàrnabo delle montagne, su cui Buzzati lavora sin dal 1930 e che vien seguito nel 1935 da Il segreto del bosco vecchio. Entrambi diverranno successivamente dei film, per opera di Mario Brenta il primo e di Ermanno Olmi il secondo. Questo è anche il periodo in cui, anche per la collaborazione con il periodico "La Lettura", Buzzati inizia a scrivere racconti brevi, che contribuiranno alla sua fama di narratore (tra gli altri, Sette piani, 1937; I sette messaggeri, 1939;Eppure battono alla porta, 1940) per la loro commistione di elementi realistici ed elementi fantastici e per un forte senso di mistero inquietante.

Nel 1939 Buzzati parte per l'Etiopia come inviato del "Corriere"; da questa esperienza - che segna profondamente Buzzati - nasce il romanzo che lo porta al vero successo e lo trasforma in un autore di fama internazionale: Il deserto dei Tartari, il cui titolo originale era La fortezza, viene pubblicato dall'editore Rizzoli nel 1940.

Mentre continua la collaborazione al "Corriere", Buzzati rimane abbastanza defilato rispetto agli eventi bellici e della Liberazione; nel 1945 pubblica (prima sul "Corriere dei Piccoli" poi in edizione completa in volume) invece La famosa invasione degli orsi in Sicilia, una favola per bambini arricchita di tavole e disegni per mano dello stesso autore. Mentre Il deserto dei tartari conosce molte ripubblicazioni e numerose traduzioni all'estero, Buzzati prosegue sulla linea della narrazione breve, tra fantastico e surreale: i racconti sono ora raccolti in Paura alla Scala, pubblicato nel 1949. Nello stesso anno, Buzzati è l'inviato del "Corriere" al Giro d'Italia, e l'anno successivo è vicedirettore della "Domenica del Corriere", al cui "taglio" di successo Dino contribuisce in maniera determinante. Nel corso degli anni Cinquanta, interessante è pure l'avvicinamento al mondo del teatro, per cui Buzzati scrive alcuni testi.

 Nel 1958 vince l'importante Premio Strega con la raccolta Sessanta racconti, che raccolgono il meglio della sua produzione. Nel 1960, con Il grande ritratto, Buzzati si accosta alla tematica della femminilità (e dell'amore) per la prima volta, inaugurando quello che diventerà uno dei temi principali della sua poetica successiva, che culminerà nel 1963 con la pubblicazione di Un amore, nuovo romanzo di natura autobiografica. Se nel 1960 sono stati pubblicati per Mondadori i testi de Il colombre e altri cinquanta racconti, nel 1965 Buzzati sperimenta l'attività di poeta con Il capitano Pic e altre poesie, che affiancherà a quella di pittore, altra grande passione di Buzzati, che partecipa anche ad alcune mostre ed esposizioni. Nel 1971, ormai stanco e malato, racchiude parte della sua produzione (racconti ed elzeviri) nella raccolta Notti difficili, per poi spegnersi il 28 gennaio del 1972.

 

 

 

Il deserto dei tartari

 

Con la pubblicazione del romanzo intitolato Il deserto dei Tartari nel 1940, Dino Buzzati ottiene quel successo di critica e di pubblico che ne hanno fatto uno dei principali scrittori del Novecento italiano. L'ispirazione per le vicende del libro arriva a Buzzati dall'esperienza giornalistica per conto del "Corriere della Sera" in Etiopia nel 1939, e dallo scoppio del conflitto mondiale, cui l'Italia decide di partecipare (10 giugno 1940) proprio in concomitanza con la pubblicazione del romanzo.

 Il protagonista delle pagine del Deserto dei Tartari è allora Giovanni Drogo, un tenente mandato in servizio presso un non meglio identificato distaccamento militare ai confini del mondo, la "Fortezza Bastiani", relegata in cima ad un'impervia montagna. Questo scenario - che in parte ricorda quello del Bàrnabo delle montagne, e che costituisce una delle costanti dell'autore - ci appare da subito come sospeso tra il sogno e la veglia; la Bastiani è un avamposto ormai abbandonato e pressoché dimenticato, ma che vincola a sé tutti i militari del battaglione non solo attraverso una ferrea disciplina ma per il senso di perenne attesa di un nemico che giungerà dalla frontiera e che rappresenta il sogno di una gloria da conquistare e di un destino su cui riporre la propria fiducia. Quando Drogo giunge alla Fortezza, è un giovane tenente fiero e saldo, che dispone di se stesso e della sua esistenza in piena libertà, convinto di trascorrere in quel luogo desolato solo qualche mese, per poi tornare alla vita normale. Dopo poco però, la pacata e monotona vita della Fortezza Bastiani, scandita dalla disciplina militare, dagli orari dell'esistenza comunitaria e dalla convinzione che di lì a poco il nemico arriverà, fa presa anche sul nostro protagonista che, senza rendersene conto, trascorre in quel luogo remoto tutti gli anni della sua esistenza. Per Drogo, così come per i commilitoni, la speranza di veder comparire un nemico all'orizzonte si trasforma a poco a poco in un'ossessione metafisica, in cui al desiderio di mostrare il proprio eroismo si sovrappone - con forte simbolismo - la ricerca di una verità definitiva sulla propria esistenza.

Mentre trascorrono i decenni (e mentre i compagni alla Fortezza tornano alla vita civile o muoiono, come il tenente Angustina), Drogo rimane fatalmente incatenato a questa condizione irrisolta tra speranza e disillusione; quando, per una breve licenza, potrà rientrare nel mondo reale, percepirà tutto il senso del proprio sradicamento rispetto alla gente comune. L’attesa del nemico, unico moto vitale per Drogo e i per suoi compagni di sventura, si rivela infine un fallimento: quando finalmente i Tartari, a lungo attesi, avanzano verso la Fortezza, Drogo è costretto in un letto, condannato da un male incurabile. Proprio nell'occasione sperata da una vita, Drogo, frustrato e sconfitto, viene congedato dalla Bastiani, e trascorre la sua ultima notte in un'anonima locanda, sulla via del ritorno. Il momento della morte diventa quindi quello della rivelazione per il protagonista: dopo un'esistenza spesa e sfumata nell'attesa di un evento che dia un senso alla propria vita, Drogo sceglie di affrontare con serena dignità una morte solitaria ed ignota a tutti.

 

giovedì 22 aprile 2021

EDCUCAZIONE CIVICA 3^ - Per la Giornata della Terra

 

Lettera del capo indiano Seattle al presidente Usa Franklin Pierce

 

Nel 1854 il "Grande Bianco" di Washington (il presidente degli Stati Uniti) si offrì di acquistare una parte del territorio indiano e promise di istituirvi una "riserva" per il popolo indiano. Ecco la risposta del "capo Seattle", considerata ancora oggi la più bella, la più profonda dichiarazione mai fatta sull'ambiente.

 

 

Il Grande Capo a Washington ci ha mandato a dire che vuole comprare la nostra terra. Il Grande Capo ci manda anche parole di amicizia e buone intenzioni.

Questo è gentile da parte sua, dato che sappiamo che lui non ha bisogno della nostra amicizia. Ma noi considereremo la vostra offerta, poiché sappiamo che se non vendiamo, l’uomo bianco può tornare coi fucili a prendersi la nostra terra.

Come potete comprare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea ci è estranea. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria o il luccichio dell’acqua, come potete voi comprarli? Ogni parte di questa terra è sacra per la mia gente.

Ogni splendente ago di pino, ogni spiaggia sabbiosa, la bruma delle scure foreste, ogni radura e ogni insetto ronzante sono sacri nella memoria e nelle esperienze della mia gente. La linfa che scorre negli alberi trasporta i ricordi dell’uomo rosso.

I morti dell’uomo bianco dimenticano il paese della loro nascita quando vanno a camminare tra le stelle. I nostri morti non dimenticano mai questa bella terra, poiché essa è la madre dell’uomo rosso. Noi siamo parte della terra ed essa è parte di noi. I fiori profumati sono le nostre sorelle; il daino, il cavallo, la grande aquila, questi sono i nostri fratelli.

Le creste rocciose, le essenze delle praterie, l’impeto del puledro e l’uomo, tutto appartiene alla stessa famiglia. Così, quando il Grande Capo a Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra ci chiede molto. Il Grande Capo ci fa sapere che ci riserverà un luogo dove vivere comodamente. Egli sarà nostro padre e noi saremo i suoi figli.

Quindi considereremo la vostra offerta di comprare la nostra terra. Ma non sarà facile. Questa terra è sacra per noi. L’acqua scintillante che scorre nei ruscelli e nei fiumi non è solo acqua, ma il sangue dei nostri antenati. Se noi venderemo la nostra terra, voi dovete ricordare che essa è sacra e dovete insegnare ai vostri bambini che essa è sacra e che ogni riflesso spettrale nell’acqua chiara dei laghi ci narra gli eventi e i ricordi della vita della mia gente.

I fiumi sono nostri fratelli, essi placano la nostra sete. I fiumi trasportano le nostre canoe e nutrono i nostri figli. Se vi vendiamo la nostra terra, voi dovete ricordare ed insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri fratelli, e vostri, e dovete, d’ora in poi, trattare i fiumi con la gentilezza con la quale trattereste un fratello. L’uomo rosso si è sempre ritirato davanti l’avanzata dell’uomo bianco come la foschia delle montagne si dilegua dinnanzi al sole del mattino. Ma le ceneri dei nostri padri sono sacre.

Le loro tombe sono luoghi sacri e così anche queste colline, questi alberi; questa parte di terra è consacrata per noi. Noi sappiamo che l’uomo bianco non capisce il nostro modo di vivere. Per lui, una parte di terra è uguale all’altra, dato che è uno straniero che giunge di notte e prende dalla terra qualsiasi cosa gli serve.

La terra non è sua sorella, ma sua nemica, e quando l’ha conquistata, se ne va. Si lascia alle spalle le tombe dei suoi padri e non se ne cura. Strappa la terra ai suoi figli e non se ne cura. Egli dimentica le tombe dei suoi padri ed i diritti di nascita dei suoi figli. Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come oggetti da comprare, da saccheggiare, da vendere come pecore o collane lucenti. Il suo appetito divorerà la terra e si lascerà alle spalle solo il deserto. Non so. I nostri modi sono diversi dai vostri. La vista delle vostre città rattrista l’uomo rosso.

Ma forse è perché l’uomo rosso è selvaggio e non capisce. Non ci sono luoghi quieti nelle città dell’uomo bianco. Nessun luogo in cui udire il fruscio delle foglie in primavera o il battito delle ali di un insetto. Ma forse non capisco perché sono un selvaggio. Il frastuono sembra solo ferire l’orecchio. E cosa resta nella vita se l’uomo non può ascoltare il richiamo solitario del lupo o le discussioni delle rane intorno ad uno stagno di notte? Io sono un uomo rosso e non capisco.

Gli Indiani preferiscono il delicato rumore del vento che increspa la superficie di uno stagno e il profumo del vento stesso, purificato dalla pioggia di mezzogiorno o aromatizzato dal L’aria è preziosa per l’uomo rosso, dato che tutte le cose dividono lo stesso respiro: la bestia, l’albero, l’uomo, tutti condividono lo stesso respiro. L’uomo bianco non sembra notare l’aria che respira. Come l’uomo morente, egli è insensibile al fetore.

Ma se noi vi vendiamo la nostra terra, voi dovete ricordare che l’aria ci è preziosa, dovete ricordare che l’aria condivide il suo respiro con tutta la vita che sostiene. Il vento che donò a nostro nonno il suo primo respiro, riceve anche il suo ultimo sospiro. E il vento deve dare anche ai nostri figli lo spirito della vita Se vi vendiamo la nostra terra, voi dovete tenerla separata e considerarla sacra, come un luogo dove persino l’uomo bianco può andare a gustare il vento addolcito dalla fragranza dei fiori delle praterie.

Così, noi considereremo la vostra offerta di comprare la nostra terra. Se decideremo di accettare, porrò una condizione: l’uomo bianco dovrà trattare gli animali di questa terra come fratelli. Io sono selvaggio e non capisco altri modi di vivere. Ho visto migliaia di bisonti imputridire nella prateria, uccisi dall’uomo bianco che ha sparato loro da un treno in corsa.

Io sono un selvaggio e non capisco come il cavallo d’acciaio che sputa fumo possa essere più importante del bisonte che noi uccidiamo solo per sopravvivere. cos’è l’uomo senza le bestie? Se tutti gli animali fossero scomparsi, l’uomo morirebbe per la grande solitudine di spirito. Infatti, qualsiasi cosa succeda agli animali, presto accade anche all’uomo.

Tutte le cose sono legate tra loro. Dovete insegnare ai vostri figli che la terra sotto i vostri piedi è la cenere dei nostri nonni. Affinchè rispettino la terra, dite ai vostri bambini che essa è arricchita dalle vite dei nostri antenati. Insegnate ai vostri bambini quello che noi abbiamo insegnato ai nostri figli: che la terra è nostra madre.

Qualsiasi cosa accada alla terra, accade anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su loro stessi. Noi sappiamo questo: la terra non appartiene all’uomo, l’uomo appartiene alla terra. Noi sappiamo questo: tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce una famiglia. Tutte le cose sono unite tra loro. Qualsiasi cosa accada alla terra, accade ai figli della terra. L’uomo non ha tessuto la stoffa della vita, è solo un filo di essa.

Qualsiasi cosa lui faccia alla stoffa, lo fa a se stesso. Ma noi considereremo la vostra offerta di andare nella riserva che avete offerto alla mia gente. Vivremo appartati ed in pace. Importa poco dove trascorreremo il resto dei nostri giorni. I nostri bambini hanno visto i loro padri umiliati nella disfatta. I nostri guerrieri hanno provato vergogna e dopo la sconfitta hanno trascorso i loro giorni nella pigrizia e contaminato i loro corpi con cibi dolci e bevande forti. Importa poco dove trascorreremo il resto dei nostri giorni.

Non sono molti. Ancora poche ore, pochi inverni e nessuno dei nostri figli delle grandi tribù, che una volta vivevano su questa terra o che si aggirano ora in piccole bande nei boschi, rimarranno a lamentarsi sulle tombe di un popolo una volta potente e pieno di speranza come il vostro. Perché dovrei piangere la scomparsa della mia gente? Le tribù sono fatte di uomini, niente di più.

Gli uomini vanno e vengono come le onde del mare. Persino l’uomo bianco, il cui Dio cammina con lui e gli parla da amico ad amico, non può essere esonerato dal destino comune. Noi possiamo essere fratelli, dopotutto; staremo a vedere. Una cosa sappiamo, che l’uomo bianco potrà forse scoprire un giorno: il nostro Dio è lo stesso Dio. Ora voi potete pensare che Egli vi appartenga, così come volete possedere la nostra terra, ma non è così. Egli è il Dio dell’uomo e la Sua compassione è uguale sia per l’uomo rosso che per quello bianco.

Questa terra è preziosa per Lui e danneggiarla significa disprezzare il suo Creatore. Anche i bianchi scompariranno, forse anche prima di tutte le altre tribù. Ma nel vostro perire risplenderete vividamente, infiammati dalla forza del Dio che vi ha portato in questa terra e che per qualche scopo speciale vi ha dato il dominio su di essa e sull’uomo rosso.

Quel destino è un mistero per noi, poiché non comprendiamo perché i bisonti sono stati tutti macellati, i cavalli selvaggi domati, i sacri angoli della foresta appesantiti dall’odore di molti uomini e la vista delle rigogliose colline disturbata dai fili parlanti. Dov’è la macchia? Sparita. Dov’è l’aquila? Sparita. E che cosa significa dire addio al puledro e al cacciatore? E’ la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza. Comunque considereremo la vostra offerta di comprare la nostra terra. Se accetteremo sarà per assicurarci la riserva che ci avete promesso. Là, forse, potremo vivere i nostri brevi giorni come vorremmo.

Quando l’ultimo uomo rosso sarà svanito da questa terra e la sua memoria sarà soltanto l’ombra di una nuvola che passa sulla prateria, queste spiagge e queste foreste ospiteranno ancora gli spiriti della mia gente. Perché essi amano questa terra come il neonato ama il battito del cuore di sua madre.

Così, se vi venderemo la nostra terra, amatela come noi l’abbiamo amata. Abbiatene cura come ne abbiamo avuto cura noi. Tenete nella vostra mente il suo ricordo di com’era quando l’avete presa. E con tutta la vostra forza, con tutta la vostra mente, con tutto il vostro cuore, preservatela per i vostri figli ed amatela … come Dio ama tutti noi.

Una cosa noi sappiamo. Il nostro Dio è lo stesso Dio. Questa terra è preziosa per Lui. Persino l’uomo bianco non può essere esonerato dal destino comune. Possiamo essere fratelli, dopotutto.

 

mercoledì 24 marzo 2021

ITALIANO 3^ - Letteratura. Salvatore Quasimodo

 

Salvatore Quasimodo

 

MILANO, AGOSTO 1943

 

Invano cerchi tra la polvere,

povera mano, la città è morta.

È morta: s’è udito l’ultimo rombo

sul cuore del Naviglio. E l’usignolo

è caduto dall’antenna, alta sul convento,

dove cantava prima del tramonto.

Non scavate pozzi nei cortili:

i vivi non hanno più sete.

Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:

lasciateli nella terra delle loro case:

la città è morta, è morta.

 

 

Alle fronde dei salici 

 

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

 

 

 

Salmo 136

1 Sui fiumi di Babilonia,
là sedevamo piangendo
al ricordo di Sion.
2 Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.
3 Là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
canzoni di gioia, i nostri oppressori:
«Cantateci i canti di Sion!».
4 Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
5 Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra;
6 mi si attacchi la lingua al palato,
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
7 Ricordati, Signore, dei figli di Edom,
che nel giorno di Gerusalemme,
dicevano: «Distruggete, distruggete
anche le sue fondamenta».
8 Figlia di Babilonia devastatrice,
beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.
9 Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
e li sbatterà contro la pietra.



lunedì 15 marzo 2021

ITALIANO 3^ - Letteratura: Giuseppe Ungaretti, alcune poesie

 

Giuseppe Ungaretti

 

Sono una creatura 

(Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916)

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
cos' totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo

 

 

Fratelli

(Mariano il 15 luglio 1916)

 

Di che reggimento siete

fratelli?

 

Parola tremante

nella notte

 

Foglia appena nata

 

Nell'aria spasimante

involontaria rivolta

dell'uomo presente alla sua

fragilità

 

Fratelli

 

 

 

San Martino del Carso

(Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916)

 

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

 

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

 

Ma nel cuore

nessuna croce manca

 

E' il mio cuore

il paese più straziato

 

 

 

Soldati

(Bosco di Courton luglio 1918)

 

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie.